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Staccata una torcia dalla parete, Racine oltrepassò di slancio la soglia e, inebriata dalla sensazione di libertà donatale dalla ritrovata giovinezza, saltellò con grazia lungo i gradini che scendevano alle catacombe. Il suo entusiasmo da ragazzina contrastava in modo stridente con il morboso scenario circostante, le pareti stillanti umidità e le chiazze di muffa sui soffitti.
Alle spalle di Racine c'era Skye, seguita da Austin e da una guardia che ne osservava ogni movimento, quindi veniva Zavala tenuto d'occhio da un altro sorvegliante. Chiudeva la fila Marcel, sempre circospetto come un pastore che controlla i capi del suo gregge. La processione superò l'ossario e le segrete per poi scendere lungo le scale che sprofondavano nelle catacombe. L'aria si andava facendo stantia, soffocante.
Uno stretto corridoio dal soffitto a volta lungo una trentina di metri conduceva a un battente di pietra, che venne spinto di lato dalle guardie e si aprì senza rumore, come se i rulli sui quali scorreva fossero stati ben oliati.
Mentre marciava con gli altri lungo un'ennesima galleria, Austin fece una stima delle loro possibilità e concluse che non ne avevano. Fino a quel momento, per lo meno. I Trout avevano l'ordine di non muoversi fino a che non li avesse chiamati.
Si sarebbe preso a calci da solo per essere stato tanto presuntuoso. Aveva sbagliato completamente i calcoli. Sapeva che Racine era senza cuore, com'era dimostrato dal fatto che aveva fatto uccidere il fratello, ma non avrebbe mai immaginato che fosse addirittura indifferente alla sorte del proprio figlio. Lanciò un'occhiata a Skye, davanti a lui. Sembrava reggere bene, troppo impegnata a togliersi le ragnatele dai capelli per interrogarsi sulle sue prospettive a lungo termine. Kurt si augurava soltanto che non finisse per pagare lei i suoi errori di valutazione.
Il passaggio terminava contro un'altra porta simile alla prima, che venne fatta anch'essa scorrere lateralmente. Racine oltrepassò la soglia e agitò la torcia tenendola sollevata. La fiamma danzò su una lastra di pietra larga una sessantina di centimetri che sembrava un trampolino proteso nel vuoto sull'orlo di un precipizio.
«Lo chiamo il 'Ponte dei Sospiri'», comunicò loro Racine, la voce echeggiante contro le spesse pareti della voragine. «È assai più antico di quello di Venezia. Ascoltate.» Dal basso si udiva il gemito del vento che, simile a un coro di anime dannate, saliva a scompigliarle i lunghi capelli biondi. «Meglio non soffermarsi troppo.»
Così dicendo, la donna avanzò di slancio sulla lastra con noncuranza.
Vedendo Skye esitare, Austin le afferrò la mano e si avviò cauto sullo stretto ponte seguendo la luce vacillante della torcia di madame Fauchard, mentre il vento faceva svolazzare i loro abiti. La passerella era lunga una decina di metri in tutto, ma sembravano altrettanti chilometri.
Zavala, che era un atleta nato e aveva fatto boxe a livello professionistico ai tempi del college, superò l'ostacolo con il passo sicuro di un equilibrista sul filo, mentre le guardie, incluso Marcel, procedettero con grande attenzione ed evidente malavoglia.
Aperta una spessa porta in legno, il corteo emerse dalle catacombe per sbucare in un tratto all'aperto dove l'aria era asciutta, pervasa da un forte aroma di pino. Si trovavano in uno spiazzo circolare largo circa tre metri e mezzo. Avvicinatasi a un muretto fra due massicci pilastri squadrati, Racine fece segno agli altri di seguirla.
Il passaggio era in realtà l'anello più alto di una sorta di anfiteatro. Altre tre file di sedili illuminate da una serie di torce scendevano fino all'arena centrale. I posti erano occupati da centinaia di spettatori silenziosi.
Attraverso un arco, Austin lasciò vagare lo sguardo sull'ampia zona aperta. «Non cessa mai di sorprendermi, madame Fauchard.»
«Pochi estranei hanno avuto l'opportunità di ammirare il sancta sanctorum dei Fauchard.»
I timori di Skye furono momentaneamente eclissati dalla curiosità scientifica. «È un'esatta riproduzione del Colosseo», commentò osservando con occhio analitico l'insieme. «Gli ordini di colonne, le arcate, tutto identico a parte le proporzioni.»
«La cosa non deve sorprendervi», replicò Racine. «Si tratta di una versione in scala ridotta del famoso anfiteatro, eretta da un nostalgico proconsole romano in Gallia al quale mancavano i divertimenti di casa. Nel cercare un luogo dove costruire il castello, i miei antenati pensarono che la scelta di quel terreno avrebbe consentito loro di infondere nella grande dimora lo spirito marziale dei gladiatori che vi avevano versato il proprio sangue. La mia famiglia apportò qualche modifica, come l'aggiunta di un ingegnoso sistema di ventilazione per aerare il complesso, ma quanto al resto è rimasto tutto come lo avevano trovato.»
Austin era incuriosito dagli spettatori. Si sarebbe pur dovuto udire qualche mormorio, uno strusciar di piedi, un colpetto di tosse. Niente. Il silenzio era palpabile.
«Chi è quella gente?» chiese a Racine.
«Lasci che gliela presenti.»
Scesero la prima delle numerose, fatiscenti scalinate interne. Giunti al livello del terreno, una guardia aprì un cancello di ferro per far entrare il gruppo in un breve tunnel. Racine spiegò che si trattava dell'accesso riservato ai gladiatori. Il tunnel sbucava in un'arena circolare il cui pavimento era coperto da finissima sabbia bianca.
Al centro dello spiazzo si ergeva una grande pedana rettangolare di marmo alta un metro e mezzo, sul fianco della quale erano stati intagliati dei gradini. Austin stava osservando l'espressione stolida dipinta sul volto di un manipolo di uomini impalati sull'attenti intorno al perimetro dell'arena, quando udì l'esclamazione soffocata di Skye, che non aveva più lasciato la sua mano da quando avevano oltrepassato la passerella sullo strapiombo. La donna gli stava stritolando le dita in una morsa.
Seguendo il suo sguardo verso la fila più bassa di sedili, vide la luce giallastra delle torce riflettersi su teschi ghignanti e volti incartapecoriti, e si rese conto di avere davanti a sé un pubblico di mummie. I corpi imbalsamati riempivano fila dopo fila, anello dopo anello, fissando l'arena con i loro occhi vuoti.
«Va tutto bene», mormorò con voce calma per tranquillizzare Skye.
«Non possono farti alcun male.»
Zavala era sbalordito. «Non è nient'altro che una grossa tomba», bofonchiò.
«Ammetto di essermi esibito davanti a spettatori più interessati», replicò Austin prima di rivolgersi a madame Fauchard. «Joe ha ragione. Il suo sancta sanctorum non è che un pretenzioso mausoleo.»
«Al contrario. Vi trovate su un suolo sacro per tutti noi Fauchard. Fu su questo podio che sfidai Jules, nel 1914. E qui lui ci comunicò che si opponeva alle decisioni del consiglio di famiglia. Se Emil non avesse fallito, avrei messo il corpo di mio fratello assieme agli altri, così che avesse potuto assistere al mio trionfo.»
Austin provò a immaginare il fratello di Racine intento a sostenere la propria causa in favore del genere umano davanti a quel pubblico di cadaveri.
«Dev'esserci voluto un bel coraggio per sfidare la vostra famiglia di assassini», borbottò.
Ignorando il suo commento, Racine piroettò sui tacchi come una ballerina, apparentemente del tutto a suo agio in quell'orrendo luogo di morte, e prese a indicare alcuni membri della famiglia che avevano respinto l'appello di Jules, tanto tempo prima.
«Scusi se non mi commuovo», fece Austin. «Ma dall'espressione dei loro visi direi che non abbiano ancora superato il trauma della defezione di suo fratello.»
«Non si è limitato a sfidarci; si è messo contro cinquemila anni di storia familiare. Quando venimmo in Francia al seguito dei crociati, trasferimmo qui tutti i nostri antenati affinché restassero con noi. Ci vollero anni per trasportare una simile teoria di cadaveri per migliaia di chilometri dal Medio Oriente, ma alla fine tutte le mummie furono radunate a riposare in questo luogo.»
«Perché prendersi tanto disturbo solo per un mucchio di ossa?»
«La nostra famiglia ha sempre coltivato il sogno dell'immortalità. Come gli egizi, credevano che, preservando il corpo, la vita sarebbe proseguita oltre la morte. La mummificazione non fu che un rozzo tentativo in questo senso. I primi imbalsamatori si servivano della resina di pino al posto dell'azoto liquido utilizzato ai giorni nostri nella criogenia.» La donna lanciò un'occhiata oltre le spalle di Austin, poi aggiunse: «Vedo che i nostri ospiti cominciano ad arrivare. Possiamo dare inizio alla cerimonia».
Spettrali figure vestite di bianco stavano avanzando verso l'arena. Il gruppo, due dozzine di persone in totale, era equamente ripartito fra uomini e donne e, a giudicare dai capelli bianchi e i volti grinzosi, non sembrava distaccarsi troppo come età dalle mummie allineate in silenzio sui sedili. Via via che entravano nell'arena, i nuovi arrivati andavano a baciare la mano a madame Fauchard prima di raccogliersi in cerchio intorno alla pedana.
«Sono persone che lei conosce già», mormorò Racine ad Austin. «Le ha incontrate al mio party. Sono i discendenti delle vecchie famiglie di armaioli.»
«Stavano meglio in costume», commentò lui.
«Le ingiurie del tempo non risparmiano nessuno, ma loro rappresentano l'élite che guiderà il mondo assieme a me, mentre Marcel sarà il responsabile del nostro esercito privato.»
Alla risata divertita di Austin, parecchie facce spaventate si girarono dalla sua parte.
«Dunque è questa, la follia che vi muove tutti? Il dominio del mondo?»
Racine lo trafisse con lo sguardo come una furibonda Medusa. «Lo trova divertente?»
«Non è la prima megalomane che tenta di impadronirsi del mondo. Hitler e Gengis Khan, per esempio, l'hanno preceduta, con l'unico risultato di versare fiumi di sangue.»
«Ma pensi a come sarebbe il mondo, oggi, se fossero stati immortali.»
«Un luogo dove pochi avrebbero voglia di vivere.»
«Si sbaglia. Aveva ragione Dostoevskij nel sostenere che il genere umano è alla costante ricerca di qualcuno da idolatrare. Quando gli oceani di tutta la terra saranno ridotti a fetide paludi, verremo accolti come i salvatori. Qualcuno alla NUMA avrà sicuramente sentito parlare della peste che sta contaminando il vostro regno sottomarino come un verde cancro.»
«L'alga gorgonea?»
«La chiamate così? Un nome suggestivo e piuttosto azzeccato, direi.»
«La notizia dell'infestazione non è ancora stata resa pubblica. Come ne è venuta a conoscenza?»
«Come? Sappia, uomo patetico, che sono stata io a crearla! Il prolungamento dell'esistenza non sarebbe bastato a darmi il potere che desideravo. La scoperta dell'alga mutante fu un effetto secondario del lavoro dei miei scienziati; quando vennero a comunicarmela, capii immediatamente che si trattava dello strumento perfetto per portare a termine il mio piano, e così trasformai la Città Perduta in una sorta di allevamento per questo micidiale organismo.»
Austin ammirò seppur con riluttanza i complessi meccanismi della sua mente scellerata. Si era costantemente tenuta un passo avanti a tutti.
«Ecco perché voleva togliere di mezzo la missione della Woods Hole.»
«Naturale. Non potevo permettere a quei pasticcioni di mettere in pericolo i miei progetti.»
«Vuole diventare imperatrice di un mondo in pieno caos, insomma?»
«Questo è il punto. Una volta che le varie nazioni saranno sull'orlo della bancarotta, in balia di carestie, anarchia politica e leader impotenti, mi farò avanti io e farò sparire il flagello dalla faccia della terra.»
«Sta dicendo che è in grado di distruggere l'alga?»
«Con la stessa facilità con cui posso far fuori lei e i suoi amici. I destinati alla morte non potranno fare a meno di nutrire una venerazione per gli immortali che creeremo qui, stanotte, e che torneranno nei rispettivi Paesi per assumere gradualmente il potere. Saremo esseri superiori, la cui saggezza rappresenterà una gradita alternativa alla democrazia, con la sua mancanza di certezze e le continue pressioni nei confronti della gente comune. Diventeremo i loro dei!»
«Dei immortali? Non troppo allettante, come prospettiva.»
«Non per lei e i suoi amici, forse. Ma non si butti giù: potrei lasciarla vivere sotto una forma differente. Una sorta di animale da compagnia, magari. Ci vogliono pochi giorni soltanto per trasformare un essere umano in una bestia ringhiosa. Un processo davvero interessante. Sarebbe divertente lasciarle osservare le modificazioni subite via via dalla sua amica, e vedere se prova ancora il desiderio di stringerla fra le braccia.»
«Mi preoccuperei di altro, se fossi in lei. Del suo elisir miracoloso, per esempio, che potrebbe esaurirsi in men che non si dica.»
«Impossibile. I miei laboratori continueranno a produrlo nelle quantità necessarie.»
«È stata in contatto con qualcuno, sull'isola, di recente?»
«Non ce n'è stato bisogno. La mia gente sa cosa fare.»
«I suoi scagnozzi non esistono più. I laboratori sono stati rasi al suolo. Ero là, e ho visto tutto di persona.»
«Non le credo.»
Austin sorrise, ma il suo sguardo era duro come la roccia. «I mutanti sono fuggiti dalle gabbie e hanno fatto piazza pulita del colonnello Strega e dei suoi uomini. Hanno anche messo a soqquadro i laboratori, ma non le sarebbero serviti comunque, dal momento che isola e sottomarino sono ora nelle mani dei marine britannici. Il suo scienziato capo, MacLean, è morto, ucciso da un proiettile di uno dei suoi scagnozzi.»
Racine non batté ciglio. «Non importa. Con le risorse a mia disposizione, posso costruire altri laboratori su altre isole. MacLean sarebbe stato eliminato in ogni caso assieme agli altri. Ho la formula, che può essere replicata senza difficoltà. Ho vinto, e lei e i suoi amici avete perso.»
Austin lanciò un'occhiata all'orologio da polso. «Peccato che non vedrà mai realizzarsi la sua utopia», dichiarò con incrollabile sicurezza di sé.
«Sembra affascinato dallo scorrere del tempo», osservò Racine. «La sto facendo tardare a qualche appuntamento?»
Austin fissò la donna negli occhi, nei quali scintillava un riflesso color rubino.
«È lei ad avere un appuntamento.»
Racine parve confusa dalla risposta. «Con chi?»
«Non con chi. Con cosa. Con la cosa della quale ha più paura.»
Il volto della donna s'indurì di colpo. «Non temo niente e nessuno, io.»
Detto ciò, girò sui tacchi e si avviò verso la piattaforma.
Una coppia dai capelli bianchi si fece avanti staccandosi dal gruppo. La donna reggeva un vassoio con un certo numero di fiale color ambra dal fondo arrotondato, simili a quella di cui Racine aveva bevuto il contenuto nella sala d'armi. Il compagno teneva fra le mani una custodia di legno scuro con inserti in avorio decorata da un'aquila a tre teste.
La stretta di Skye sulla mano di Austin si fece più energica. «Quelli sono i due che mi hanno rapita a Parigi», bisbigliò. «Che facciamo?»
«Aspettiamo.» E controllò di nuovo l'orologio, pur avendolo consultato un minuto prima.
Le cose stavano procedendo troppo in fretta. Austin cominciò a elaborare un piano d'emergenza dopo aver messo sull'avviso Zavala con un'occhiata, alla quale l'amico rispose con un impercettibile cenno del capo. I minuti successivi sarebbero stati cruciali.
Racine, intanto, aveva aperto la custodia estraendone l'elmo e stava salendo i gradini della piattaforma, salutata dal discreto applauso dei presenti. Sollevato in alto il manufatto, la donna se lo posò sul capo e si guardò intorno, il volto illuminato da un sorriso di trionfo.
«Avete dovuto affrontare un lungo viaggio per raggiungere il santuario, e sono lieta di constatare che siete tutti riusciti a superare il Ponte dei Sospiri.»
Risolini smorzati si levarono dal gruppo.
«Non vi preoccupate, troverete la forza di balzare oltre il precipizio anche all'uscita. Presto saremo tutti dei, adorati dai comuni mortali che non potranno mai uguagliare la nostra potenza, la nostra saggezza. Voi siete in questo momento come ero io in passato, e presto sarete come sono io adesso.»
Gli accoliti di Racine bevevano avidamente con gli occhi la sua bellezza.
«Ho ingerito l'ultima dose della formula solo un'ora fa. E ora, onorati amici che tanto avete fatto per me, è arrivato il vostro turno. State per accogliere dentro di voi la vera pietra filosofale, l'elisir della vita che tanti hanno invano inseguito per secoli.»
La donna con il vassoio prese a girare fra i presenti, mentre mani smaniose si allungavano verso le fiale.
Austin aspettava soltanto che Marcel e le guardie facessero un passo avanti. Ci sarebbe stato un brevissimo lasso di tempo in cui avrebbero distolto l'attenzione dai prigionieri per rivolgerla alla meravigliosa prospettiva che avevano davanti, e contava sul fatto che persino Marcel soccombesse all'eccitazione. Kurt continuò a spostarsi con movimenti impercettibili verso la guardia più vicina che, affascinata dallo spettacolo che si stava svolgendo sulla pedana, aveva abbassato lungo il fianco la mano che reggeva la pistola.
Le fiale stavano per essere passate a Marcel e ai suoi uomini.
Austin aveva progettato di balzare addosso alla guardia gettandola a terra, mentre Zavala afferrava Skye e si gettava nel tunnel. Si rendeva conto che non se la sarebbe cavata, ma lo doveva ai suoi amici per averli trascinati in quel pasticcio. Lanciò un altro segnale con gli occhi a Zavala e tese i muscoli pronto ad agire, quando venne bloccato da un mormorio fra i presenti.
I seguaci di Racine si erano portati le fiale alle labbra, ma avevano gli occhi puntati verso il palco, dove madame Fauchard aveva sollevato la mano a sfiorarsi il collo sottile come se qualcosa le si fosse fermato in gola. I suoi occhi avevano un'espressione perplessa. D'un tratto, si sfiorò una guancia con le dita. La pelle di seta sembrava come inaridita; pochi istanti, e si fece giallognola, raggrinzita come se qualcuno vi avesse gettato sopra dell'acido.
«Che sta succedendo?» ansimò. Si toccò la testa. Poteva essere colpa della luce, ma le lunghe ciocche sembravano essere passate dall'oro al platino. Si passò leggermente la mano adunca fra i capelli, e gliene rimase una manciata fra le dita. Fissò il ciuffo stopposo con raccapriccio.
Le rughe sul suo volto si stavano espandendo come crepe sulla superficie di uno stagno in secca.
«Ditemi che sta accadendo!» gemette la donna.
«Sta invecchiando di nuovo», disse qualcuno in un bisbiglio che ebbe l'impatto di un urlo.
Racine puntò lo sguardo sul temerario. I suoi occhi, che andavano perdendo il riflesso rossastro, si stavano infossando sempre più nelle orbite.
Le braccia avvizzite sembravano due pezzi di legno, l'elmo sempre più pesante sul fragile collo. Cominciò a piegarsi accartocciandosi su se stessa come un gamberetto. Il bellissimo volto era devastato, la pelle immacolata costellata delle macchie tipiche dell'età. Pareva la vittima di una sindrome da invecchiamento rapido.
Finalmente, Racine si rese conto di quanto le stava succedendo. «No.»
Cercò di gridare, ma dalla gola non le uscì che un gracidio. Nooo.
Le gambe non riuscivano più a sostenerla: cadde sulle ginocchia, poi in avanti. Si trascinò per un breve tratto e protese una mano ossuta in direzione di Austin.
Pur non essendo indifferente all'orrore che aveva sotto gli occhi, Kurt non poteva dimenticare che Racine era responsabile di innumerevoli morti e dolori. La fissò con occhi impietosi: l'appuntamento con la morte di madame Fauchard era stato rimandato fin troppo a lungo.
«Buon viaggio verso l'eternità», le augurò.
«Come faceva a saperlo?» chiese lei con la voce ridotta a uno stridulo pigolio.
«Me lo aveva rivelato MacLean prima di morire. Aveva programmato la formula in modo che alla fine accelerasse il processo anziché invertirlo. Il grilletto scattava alla terza dose dell'elisir: un secolo d'invecchiamento compresso in una sola ora.»
«MacLean», ripeté lei, e il nome si spense in un sibilo mentre veniva scossa da un brivido prima di restare immobile.
Nel silenzio sbigottito che seguì, gli accoliti della donna allontanarono le fiale dalla bocca come se fossero diventate bollenti e le lasciarono cadere nella sabbia.
Con un urlo, una donna spiccò un balzo verso il tunnel. In preda al panico, anche gli altri si dettero alla fuga travolgendo Marcel e le guardie.
Austin si protese verso la guardia più vicina e, dopo averla fatta ruotare su se stessa, l'abbatté con un micidiale destro incrociato. Contemporaneamente, Zavala afferrò Skye per un braccio e, con Austin in testa, i tre si lanciarono in direzione dell'uscita fendendo come un cuneo la mischia di vegliardi.
Marcel vide i prigionieri in fuga verso la libertà e, come un ossesso, scaricò la propria arma ad altezza d'uomo crivellando la folla di proiettili.
Come un'invisibile falce, la raffica aprì un varco fra gli aspiranti immortali in tunica bianca, ma nel frattempo Austin e gli altri si erano messi al riparo nella galleria.
Skye e Zavala schizzarono verso le scale mentre Austin sparava un colpo contro il chiavistello per bloccare il cancello prima di raggiungere di corsa gli amici. I proiettili andarono a spiaccicarsi contro le sbarre di ferro, e il crepitio del metallo contro metallo coprì le urla dei moribondi.
Dopo aver ordinato agli amici di proseguire, Austin fece una sosta al primo livello dell'anfiteatro, infilandosi in un corridoio che conduceva ai settori con i posti a sedere. Come temeva, Marcel e i suoi non avevano perso tempo a cercare di abbattere il cancello. Preferendo una via più diretta, avevano scalato la parete che separava l'arena centrale dalla prima fila di sedili.
Austin si ritrasse e salì al livello superiore, dove lo aspettavano Zavala e Skye. Gridò loro di riprendere a correre, poi si lanciò in un passaggio che lo portò a una sezione più alta della cavea. Marcel e gli altri erano a mezza strada fra il primo e il secondo anello, e continuavano ad arrampicarsi urtando lì e là qualche mummia che esplodeva in una nuvola di polvere.
Marcel scorse Austin e ordinò ai suoi di aprire il fuoco. Kurt si mise al riparo con un tuffo, mentre i proiettili colpivano sibilando la parete contro la quale si era trovato un istante prima. Marcel lo avrebbe raggiunto da un momento all'altro. Bisognava fermarlo.
Kurt avanzò con audacia fino a mostrarsi nuovamente agli inseguitori ma, prima che quelli potessero puntare le armi contro di lui, staccò una torcia fiammeggiante dal supporto a muro e la lanciò verso il basso con un ampio gesto del braccio. La traiettoria si concluse con una pioggia di scintille quando il fuoco atterrò su una fila di mummie.
Alimentati dalla resina usata per conservare i corpi, gli antichi resti presero fuoco all'istante. Le fiamme salirono verso l'alto mentre i corpi ghignanti esplodevano come una treccia di petardi cinesi. Nel vedere l'anfiteatro invaso da un cerchio di fuoco, gli uomini di Marcel si lanciarono inciampando fra i sedili nella fretta di fuggire. Marcel fu l'unico a restare dov'era, il viso contratto in una smorfia di rabbia. Continuò a sparare fino a che non scomparve dietro un muro di fiamme, poi anche la sua arma tacque.
L'incendio avviluppò l'anfiteatro in pochi secondi. Gli anelli erano tutti in fiamme, in quel momento, e da essi si levavano nere nubi di fumo denso. L'inferno scatenatosi nello spazio relativamente ristretto era di un'intensità incredibile. Austin aveva la sensazione di trovarsi davanti al portello spalancato di una fornace. La testa incassata nelle spalle, corse in direzione delle scale. Con il fumo che gli faceva lacrimare gli occhi, raggiunse la sommità dell'anfiteatro praticamente alla cieca.
Zavala e Skye lo aspettavano con ansia presso l'imboccatura del corridoio che li avrebbe riportati alle catacombe. Si tuffarono tutti e tre nel cunicolo invaso dal fumo, facendosi strada a tentoni fino a che non emersero accanto all'orrido attraversato dal Ponte dei Sospiri.
Zavala aveva con sé una torcia, ma la sua luce era soffocata dai pennacchi di fumo acre provenienti dalla galleria. A un certo punto, si spense del tutto. Austin si mise carponi e prese a sondare il buio circostante con le mani. D'un tratto, sentì sotto le dita la liscia e solida superficie del marmo.
Dopo aver invitato gli amici a seguirlo, cominciò a gattonare centimetro dopo centimetro lungo l'angusta passerella usando i bordi della lastra come guida, avvolto dall'oscurità totale.
Dal precipizio saliva ululando il vento caldo misto a una nube densa e soffocante. Ceneri incandescenti turbinavano intorno a loro che, fra un accesso di tosse e l'altro, proseguivano lenti e caparbi verso l'altro lato dell'abisso.
Attraversare le catacombe fu un vero incubo. Il fumo saturava il labirinto di cunicoli rendendo l'avanzata incerta e pericolosa, ma recuperarono un altro paio di torce lungo il cammino e con quelle ritrovarono la strada fino all'ossario. Austin non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato felice di rivedere il cimitero dei Fauchard. L'uscita che dava sul cortile li avrebbe portati all'esterno del castello, ma non era sicuro di individuarla. Decise perciò di seguire il passaggio verso la sala d'armi.
Aveva sperato di trovarvi un'aria più respirabile che nei sotterranei, ma quando sbucò nell'abside si rese conto che l'ambiente era invaso da una caligine grigiastra. Nubi dall'odore nauseabondo affluivano nella stanza attraverso una decina di griglie per il riscaldamento. Rammentando le parole di Racine a proposito del sistema di ventilazione che serviva l'anfiteatro dal sotterraneo, Austin suppose che il condotto dell'aria fosse collegato all'impianto principale.
La visibilità era ancora relativamente buona, così si lanciarono lungo la navata per infilarsi nel corridoio oltre le doppie porte. Corsero a perdifiato fino alla galleria dei ritratti. La trovarono avvolta da un torbido manto di fumo che oscurava il soffitto affrescato, mentre la temperatura era salita a livelli da deserto del Sahara.
Preoccupato dal modo in cui l'atmosfera sembrava farsi quasi incandescente sotto l'azione di quel calore insopportabile, Austin sollecitò gli altri due a muoversi più in fretta. Raggiunsero finalmente la porta d'ingresso principale, che trovarono aperta, e si buttarono nel cortile, dove riempirono i polmoni ormai stremati con grandi boccate di ossigeno.
L'aria fresca penetrò anche nel castello attraverso la porta spalancata. Alimentato da una nuova fonte, il fumo rovente della galleria dei ritratti s'incendiò con un forte boato. Le fiamme si propagarono lungo le pareti, trovando ulteriore nutrimento nei ritratti a olio di generazioni di Fauchard.
Delle sagome attraversarono di corsa il cortile, ormai invaso anch'esso dal fumo: le guardie di Racine. Intente com'erano a mettersi in salvo, non degnarono di un'occhiata Austin e i suoi compagni che si lasciarono alle spalle il ponte levatoio e il ponticello di pietra ad arco. I tre si fermarono accanto alla grottesca fontana e tuffarono la testa nell'acqua fredda per sciacquarsi gli occhi irritati dalla cenere e dare sollievo alla gola infiammata.
Nei pochi minuti spesi a prendersi cura di se stessi, il fuoco era divampato. Mentre riprendevano a camminare verso la strada principale che tagliava per la foresta, udirono un cupo stridore, come se placche tettoniche stessero slittando l'una contro l'altra. Guardandosi alle spalle, notarono che la grande dimora visibile al di sopra delle mura protettive era interamente avvolta dal fuoco, eccettuate le torri che svettavano impavide al di sopra delle rutilanti ondate di fumo nerastro.
Poi anche quei baluardi furono inghiottiti dal fumo. Il fragore si ripeté, più forte quella volta, seguito da un rombo soffocato. Le fiamme si levarono alte nel cielo, l'aria si schiarì per un istante al di sopra del castello, e in quell'attimo Austin vide che le torri erano svanite.
Il maniero era crollato su se stesso, oscurato da una vischiosa nube a forma di fungo, mentre una pioggia di braci incandescenti investiva il terreno intorno. Poi, fremendo e contorcendosi come una creatura viva, la nuvola cinerea prese a salire verso l'alto.
«Dio del cielo!» esclamò Skye. «Che è successo?»
«La caduta della casa Usher», mormorò Austin con stupore.
«Che hai detto?» lo interrogò lei, strofinandosi gli occhi con un lembo della camicetta.
«Il racconto di Poe. La famiglia Usher e la loro casa completamente distrutte. Proprio come i Fauchard, crollarono sotto il peso delle loro azioni.»
Skye contemplò il luogo dov'era sorto il castello. «Credo di preferire Rousseau a Poe.»
Austin le circondò le spalle con un braccio. Con Zavala a fare strada, intrapresero la lunga camminata che li avrebbe riportati nel mondo civilizzato. Erano emersi da pochi minuti dalla galleria formata dagli alberi, quando udirono il rombo di un motore e, di lì a poco, videro materializzarsi un elicottero sopra le loro teste. Troppo stanchi per mettersi a correre, rimasero a fissare in silenzio il velivolo che atterrava. Paul Trout balzò fuori dalla carlinga e si avvicinò a grandi passi.
«Serve un passaggio?»
Austin annuì. «Non mi dispiacerebbe neppure una doccia.»
«E un goccio di tequila», aggiunse Zavala.
«E un lungo bagno caldo», rincarò Skye, cogliendo subito lo spirito del gioco.
«Tutto a tempo debito», replicò Trout guidandoli verso l'elicottero. Dal sedile di guida, Gamay li accolse con uno smagliante sorriso.
Una volta allacciate le cinture di sicurezza, l'elicottero si sollevò oltre le cime degli alberi, sorvolò in cerchio il cupo baratro fumante dov'era sorto il castello dei Fauchard, quindi si diresse verso la libertà.
Nessuno, a bordo, si girò a guardare indietro.